Curiosità sul Teatro

Curiosità sul Teatro

Cotto a puntino

Se vi trovaste, per un qualche strano motivo, catapultati in un teatro di fine ‘500, vi trovereste di fronte ad uno spettacolo molto diverso da quello odierno.

I teatri erano costruiti in legno, illuminati con candele e riscaldati con bracieri; nei retropalchi ogni famiglia nobile teneva un cuoco, pronto ad assecondare ogni capriccio della gola. Non è un caso, allora, che spesso i teatri prendessero fuoco e gli incendi fossero un problema ben conosciuto. Tale sorte toccò agli “antenati” del Teatro alla Scala: prima il Salone Margherita, poi il Regio Teatro Ducale (per ben due volte). Fu allora che i palchettisti, le grandi famiglie nobili dell’epoca, decisero che Milano dovesse avere un “suo grande teatro cittadino” quindi non più solo appannaggio dei nobili e della corte ma anche del popolo.

Nasceva così il Teatro Grande alla Scala, il 3 agosto del 1778, nell’area della fatiscente Chiesa di Santa Maria della Scala. Questa volta, finalmente, costruito in muratura.

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L'architetto veggente

Quando fu costruito, il Teatro alla Scala era collocato in un contesto urbano differente: l’odierna Piazza della Scala, infatti, venne aperta solo nel 1858.

Ecco perché il Teatro fu progettato con una prospettiva di scorcio e non frontale, come si può vedere nel dipinto di Angelo Inganni esposto nel Museo Teatrale alla Scala. All’epoca non tutti furono felici del risultato ottenuto dall’architetto Giuseppe Piermarini. Il filosofo Pietro Verri, ad esempio, ebbe a dire: “La facciata del nuovo teatro è bellissima in carta, e mi ha pure sorpreso quando la vidi prima che si mettesse mano alla fabbrica; ma ora quasi mi dispiace”.

Il disagio che Verri avvertiva era dovuto al portico delle carrozze, soluzione adottata dal Piermarini per dare alla facciata una profondità altrimenti impossibile in una via così stretta. Questa scelta si rivelò però lungimirante quando, a metà Ottocento, si aprì la Piazza della Scala e la decisione del Piermarini sembrò degna di un indovino.

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Anatomia di un Teatro

La Scala, che oggi conta ben 2015 posti a sedere, aveva in origine cinque file di palchi. Nel 1909 il quinto ordine venne trasformato in prima galleria, con la rimozione delle separazioni tra un palco e l’altro.

La seconda galleria, appena sotto la volta, è il famoso “loggione”, meta dei melomani più accaniti, poiché è il luogo del Teatro in cui l’acustica permette di sentire meglio i cantanti e l’orchestra.

I palchi non sono tutti uguali: al secondo e terzo ordine ce ne sono addirittura quindici nei quali si trovano ancora tracce della decorazione originale, che in alcuni casi risale al grande intervento dei primi decenni dell’Ottocento voluto dallo scenografo Alessandro Sanquirico. 

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Fiat Lux!

Quando l’elettricità arrivò a Milano, il primo edificio pubblico a essere illuminato (opera curata dalla Edison) fu proprio il Teatro alla Scala, nel 1883.

Oggi siamo abituati a pensare al teatro come un luogo silenzioso, magico, perennemente immerso nella penombra. Allora può risultarci strano il testo di un manifesto dell’epoca che ci presenta un Teatro alla Scala “illuminato a giorno”.

Il compito spettava soprattutto al grande lampadario centrale, provvisto di ben 383 lampadine. Non è più il lampadario originale, ma una copia fedelissima, realizzata dopo il bombardamento del 15 agosto 1943.

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Le Jeux sont faits

Nei teatri del XVIII secolo, Scala compresa, i singoli palchi appartenevano alle famiglie nobili e poi borghesi, che li potevano decorare e arredare secondo il proprio gusto, affittarli, venderli o lasciarli in eredità.

In platea le sedie erano mobili: per potersi sedere occorreva noleggiarle. Ciò avveniva perché il Teatro alla Scala era spesso utilizzato per ballifeste in maschera e persino tornei a cavallo. Allo spettatore moderno risulta difficile immaginare l’atmosfera dell’epoca, con odori di cibo, fumo, confusione, luci.

Nei ridotti della Scala era inoltre pratica comune il gioco d’azzardo. Un ospite illustre dei tavoli della roulette era Alessandro Manzoni. Secondo le cronache del tempo, fu il poeta Vincenzo Monti a “salvare” Manzoni dalla brutta china che stava prendendo, dicendogli: “Vogliamo fare de’ bei versi, se continuate a questo modo!”.

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Lunga vita alla Scala

Nella notte fra il 15 e il 16 agosto del 1943, il Teatro alla Scala fu pesantemente danneggiato dai bombardamenti alleati della Royal Air Force.

La ricostruzione iniziò con un insolito concerto sulle macerie, con l’orchestra schierata di fronte al sipario e il pubblico seduto su sedie comuni. L’11 maggio 1946, dopo una rapidissima ricostruzione, il Teatro alla Scala riapriva nel suo splendore originale con un memorabile concerto diretto da Arturo Toscanini, a cui dobbiamo innovazioni di carattere musicale ma anche gestionale e strutturale.

Fu lui a pretendere la creazione nel 1907 della fossa d’orchestra (il cosiddetto “golfo mistico”, con una superficie totale di 110m2), oltre al buio in sala, il nuovo tipo di sipario e il divieto dei bis.

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Metamorfosi

Ne Il Gattopardo, lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa scriveva: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Durante la sua burrascosa storia architettonica, la Scala attraversò due momenti d’importante trasformazione.

Il primo fu la ricostruzione del Teatro, ad opera di Luigi Lorenzo Secchi, seguita al bombardamento del 1943. Il secondo fu il massiccio restauro della Scala (2002-2004), eseguito sotto la direzione di Mario Botta. Un elemento, però, accumunava i due architetti: la precisa intenzione di preservare il passato e la storia della Scala. Per questo la volta, distrutta dai bombardamenti, venne ricostruita con le stesse misure e materiali (legno di pioppo duro) dell’originale piermariniano.

Furono forgiati dei nuovi chiodi utilizzando come modello alcuni chiodi della fine del ‘700, ritrovati dopo il crollo. Per lo stesso motivo, nel restauro del 2002, venne rimossa la moquette in platea e tutte le macerie conseguenti al bombardamento, che erano state per motivi di tempo sepolte sotto il palcoscenico, oltre al linoleum dei palchi, che ha rivelato il cotto lombardo settecentesco.

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